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Articolo di Vanda Bonardo e Giuliano Cannata: NUBIFRAGI E SICCITA’ (pubblicato su Varieventuali 23 maggio 2013)

Nubifragi e siccità: quali difese per l’eporediese e il canavese?

frana_a12_frana3_a12_1Nubifragi e siccità si susseguono nell’eporediese e nel canavese, come nel resto d’Italia, senza soluzione di continuità.

Le consistenti precipitazioni di questo piovoso periodo primaverile insieme a quelle prossime dell’autunno, ora come nel recente passato (e probabilmente nel futuro prossimo) mettono alla dura prova un territorio estremamente fragile, tanto da farlo entrare in crisi per un nonnulla.

Allo stesso modo, presto, con le prime ondate di calore, lo stesso territorio si ritroverà a fronteggiare lo stress da siccità.

Da tempi non sospetti il mondo ambientalista ribadisce alcuni concetti, affermazioni che ora si vorrebbe finalmente veder tradotte in concrete azioni pianificatorie. Per ridurre il rischio occorre infatti invertire la rotta, ad esempio promuovendo la rinaturalizzazione delle aree più delicate e incoraggiando le attività economiche che valorizzano anziché pregiudicare le risorse ambientali. In questa particolare fase storica si dovrebbe affermare con più forza il principio per cui rispetto ad ogni altre azione sono prioritarie le politiche di contenimento della distruzione del paesaggio e delle aree agricole, di cementificazione di suoli e di interventi sconsiderati sulle acque. Occorre sostenere le buone pratiche di rimboschimento dei territori montani per aumentarne la capacità di ritenzione idrica. I Piani edilizi in sintonia con le migliori pratiche vanno inseriti in PRG centrati sul recupero dell’esistente piuttosto che su nuove aree di espansione.

Occorre recuperare le aree di esondazione e le zone umide lungo i fiumi per aumentare la capacità di rallentamento della velocità delle acque. Ripristinare le aree umide per aumentare il potere di autodepurzione dei corsi d’acqua e intervenire laddove non sono rispettate le norme sul DMV. Interventi questi indispensabili, sebbene non ancora del tutto compresi nella loro utilità, non solo nel sentire comune, ma anche da parte di molti tra coloro che si propongono a governare il territorio. Le odierne impellenti urgenze di far cassa oggi più che mai annebbiano anche i migliori propositi. C’è il fondato timore che il forzato rispetto del fiscal contract riduca ulteriormente i contributi statali con l’evidente rischio di un maggior uso degli oneri di urbanizzazione e simili, con effetti nefasti sul consumo del territorio e sul regime dei suoli e dell’acqua.

Tra le conseguenze perverse della febbre di distruzione del territorio che nel recente passato troppo spesso ha rappresentato il vero, l’unico obbiettivo “economico” c’è la tragica ripetitività degli interventi che ha prodotto in Italia orge di cemento e di cave di ghiaia (“messa in sicurezza…”), captazioni senza fine.

In specifico le due emergenze che si sono manifestate di recente nell’eporediese impegnano le future amministrazioni ad organizzare un piano di gestione semplice ma sicuro.

  1. Allagamenti delle strade urbane

Le cosiddette “acque di prima pioggia” dilavano un suolo reso impermeabile e vanno a intasare le caditoie e il reticolo drenante minore (spesso intubato in condotte “miste”pluviali più fecali) con portate molto alte anche se di brevissima durata, e limitato deflusso totale.

Il Comune insieme agli altri enti territoriali coinvolti, dovrebbero riuscire a riprendere in mano la pianificazione e la gestione di eventuali vasche o aree di accumulo delle portate di prima pioggia di scorrimento urbano, così come la separazione (ove conveniente) delle portate da convogliare al depuratore; ma soprattutto farsi carico della pulizia delle fogne e delle caditoie spesso ancora otturate dal fogliame autunnale all’epoca dei primi scrosci intensi.

  1. Alluvionamenti della sede autostradale.

Pur senza scendere qui in quella revisione accurata che l’Autorità di Bacino dovrà compiere sul nodo idraulico di Ivrea secondo le richieste di Legambiente, sembra chiaro che esiste un problema di sommersione della sede autostradale, pur limitata in altezza e di Tempo di ritorno alto (almeno ventennale). Nell’attesa di disporre di modellazione esauriente bisogna denunciare l’assurdità non disinteressata di un’opera devastante come la sopraelevazione. E’ infatti già fin d’ora evidente che in assenza di soluzioni idrauliche locali, una misura elementare di Allerta Rapida ben dimensionata nel rischio riporta il problema a una brevissima chiusura di qualche ora ogni vent’anni. Chiusura ordinaria e da sempre comunissima per motivi per es. di manutenzione o neve o incidente.

Per il calcolo dell’allerta si dispone ( in Val d’Aosta) di un sistema strutturato da pluviometri e da radar, e di monitoraggio idrometrico dell’onda di piena. Ma in carenza di ciò anche un modello di traslazione delle piena darebbe risultati sufficienti a decidere la chiusura con sufficiente anticipo, in presenza di una maglia d viabilità ordinaria da attrezzare e rendere chiaramente raggiungibile.

Vanda Bonardo

Giuliano Cannata*

* Docente di Pianificazione di bacino (Università di Siena), già Segretario dell’Autorità del Medio Tirreno e poi del Sarno, autore di “Governo dei bacini idrografici”, è stato Perito presso il Tribunale di Ivrea per l’alluvione del 2000

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